Abbandono delle terapie: perché e come evitarlo

 

Alberto Revelli, ginecologo, Professore Associato presso l'Università di Torino e Responsabile del Centro di Medicina della Riproduzione dell'Ospedale Sant'Anna, spiega le motivazioni che possono spingere i pazienti all'abbandono delle terapie di fecondazione assistita e come possono essere affrontate per aumentare l'aderenza alla cura.

Nel corso di questa intervista, il dottor Revelli approfondisce le motivazioni che spingono le coppie al drop out, ovvero all’abbandono del trattamento del programma di fecondazione in vitro. Oggi tutti i centri di fecondazione in vitro lavorano con il controllo di qualità e uno dei parametri che si prende in considerazione è proprio la capacità di fidelizzazione dei pazienti.

“In questo senso, si guarda quanti pazienti che fanno un primo colloquio e chiedono un parere al medico, tornano per un secondo colloquio”, spiega Alberto Revelli, “si guarda quanti dei pazienti a cui viene consigliata una fecondazione in vitro tornano per effettuarla e, specialmente, si guarda quanti dei pazienti che dopo un trattamento non ottengono una gravidanza, desiderano riprovare. Quest’ultima parte è condizionata dalla modalità di esecuzione del trattamento, da quanto questo impatta sulla vita quotidiana dei pazienti e, in particolare, della donna che fa il 90% del lavoro. Bisogna cercare di fare in modo che la stimolazione ormonale dell’ovaio non dia dei disturbi fisici in grado di impedire il normale svolgimento delle attività della paziente e che non richieda dei controlli così serrati da interferire con l’attività lavorativa. Quindi, è molto importante sviluppare dei protocolli a misura di donna, dei protocolli che non creino gonfiore addominale o dolore, che non diano nausea o vertigini”.

Questi sintomi sono tutti legati, in generale, alle stimolazioni più violente, quelle che hanno un incremento degli estrogeni nel sangue, molto veloce e molto spiccato. Ottenere più uova può corrispondere ad una maggiore incidenza di gravidanze, ma questo non è sempre un fattore positivo. “È necessario trovare un equilibrio perché ottenere più uova a prezzo di un disagio importante per la vita della paziente è qualche cosa che secondo noi, secondo il nostro modo di pensare, non è accettabile”, prosegue Revelli. “Quindi cerchiamo un equilibrio, cerchiamo di fare degli schemi di stimolazione individualizzati, cerchiamo di controllare il paziente il meno possibile, di creare dei modelli predittivi di come l’ovaio risponderà, in modo che siano sufficienti due ecografie in tutta la stimolazione per capire quando prelevare le uova e non si debba fare venire la paziente un giorno si e un giorno no a fare un’ecografia, magari aspettando anche un’ora prima di poterla fare. Ecco questo è molto importante. Le analisi sul drop out dei pazienti condotte in letteratura mostrano abbastanza chiaramente che uno dei motivi prevalenti per cui i pazienti abbandonano il trattamento non risiede tanto nel test di gravidanza negativo, ossia nel fatto che non abbia funzionato quel tentativo. Il vero deterrente è che quel tentativo può avere avuto un impatto importante sulla vita della donna, sul suo benessere fisico e mentale. Può avere aumentato lo stress al punto da creare delle problematiche di coppia, ad esempio. Queste sono le motivazioni per cui i pazienti abbandonano ed è per questo che è molto importante offrire anche un supporto psicologico ai pazienti durante la stimolazione, oltre a programmare il trattamento in maniera molto scrupolosa e attenta alle esigenze della paziente”.

 

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